Il canto “urlato” in un silenzio assordante, un inno suggestivo per l’uscita in processione della “Desolata”, una tradizione che perde il suo nascere nel tempo e che caratterizza i riti della settimana Santa nella Città di Canosa. Sabato mattina tra le vie del centro antico con un sentimento collettivo impareggiabile e cioè quello che intercorre tra una madre è il proprio figlio. E’ proprio il senso dell’antico canto intonato dalle oltre 350 donne vestite a lutto, tutte coperte da un velo nero nella antica processione della “Vergine Desolata”, partita puntualissima alle ore 9 dalla Chiesa dei Santi Francesco e Biagio. Ad aprire il corteo diverse bambine vestite da piccoli angeli che recano in mano i segni della Passione di Cristo: la corona di spine, le funi, le fruste, la canna, il calice, i dadi, la tenaglia, i chiodi. Poi ecco proprio la statua della Vergine Desolata, ispirata alla tela settecentesca del pittore Giuseppe De Musso di Giovinazzo che raffigura l’Addolorata, tra San Filippo Neri e San Sabino, Patrono di Canosa, custodita nella Cattedrale a lui intitolata.

A seguire ancora le donne in nero disposte su più file con le braccia intrecciate “a catena” che nella partenza della processione intonano il canto musicato per banda dal clarinettista Domenico Jannuzzi di Canosa di Puglia e basato sullo Stabat Mater di Jacopone da Todi. Un senso di condivisione del dolore della Vergine per la perdita del proprio figlio immolatosi per salvare l’uomo dal peccato originale. Un silenzio incredibile con le migliaia di partecipanti provenienti anche da diversi luoghi della Puglia e non solo, e poi il canto, acutissimo e che accompagna la statua della Vergine Desolata vestita a lutto ed impietrita accanto alla croce ma sorretta da un angelo consolatore e circondata di fiori rossi. Emozione tagliente e spesso commozione per un rito antico tra i più suggestivi di Puglia ad un passo dalla Pasqua.