Dalle conserve di pomodoro cinesi all’olio, dall’ortofrutta sudamericana e quella africana in vendita nei supermercati fino ai fiori del Kenya, quasi un prodotto agroalimentare su cinque che arriva in Italia dall’estero non rispetta le normative in materia di tutela dei lavoratori – a partire da quella sul caporalato – vigenti nel nostro Paese. E’ quanto è emerso nel corso del workshop organizzato da Coldiretti al “Villaggio Coldiretti” a Bari, coordinato da Andrea Baldanza, consigliere della Corte dei Conti. Si stima che siano coltivati o allevati all’estero oltre il 30% dei prodotti agroalimentari consumati in Italia, con un deciso aumento negli ultimi decenni delle importazioni da paesi extracomunitari dove non valgono gli stessi diritti sociali dell’Unione Europea.

«Non è accettabile che alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia dalla legge nazionale sul caporalato ed è necessario, invece, che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

‘Caporalato invisibile’ e agromafie risultano le due facce della stessa medaglia. «Il contraffattore è un parassita rispetto a chi ha prodotto l’originale – ha detto Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare di Coldirettii – ciò significa che il contraffattore fa sempre un bilancio costi-benefici, da qui si origina la mafia». «L’esigenza di una norma contro la tratta degli esseri umani è forte – ha detto l’ex Procuratore di Lecce, Cataldo Motta – perché diminuirebbe il delinquere sia a livello di caporalato che di delinquenza comune. Rispetto alla legge sul caporalato, merita un intervento modificatorio, perché contiene alcune parti che non risultano perfettamente applicabili».

Anche il fenomeno della micro criminalità nelle aree rurali pugliesi – secondo Coldiretti Puglia – è divenuto così pressante e pericoloso per la stessa incolumità che gli agricoltori stanno rinunciando a presentare regolare denuncia. «Ci siamo impegnati a sensibilizzare i coltivatori a presentare regolare denuncia in modo da aiutare le forze dell’ordine» ha detto il Presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele. I furti di olive, mandorle, rame e mezzi agricoli, fenomeni estorsivi con il taglio dei ceppi di uva all’ordine del giorno. In questo scenario di strisciante diffusione dell’illegalità e clima di pericolosa incertezza «le aziende corrono il forte rischio di perdere competitività. Per questo abbiamo richiesto da tempo che il territorio sia maggiormente presidiato anche con l’intervento dell’Esercito – ha aggiunto il Presidente Cantele – auspicando una collaborazione più stringente con i Consorzi nella vigilanza delle campagne, auspicando che non si interrompa il percorso già intrapreso di accorpamento dei Consorzi minori al fine di incrementare ed ottimizzare il servizio di vigilanza campestre reso all’utenza e un coordinamento delle attività di presidio e vigilanza tra le forze dell’ordine e la Federazione regionale dei Consorzi di Vigilanza campestre che annovera 2 consorzi a Taranto, 1 a Brindisi, 4 a Lecce, 12 a Foggia, 8 nella BAT e 30 a Bari». Secondo il Procuratore aggiunto di Bari, Roberto Rossi «le denunce cumulative favoriscono sempre le indagini con risultati sempre a breve termine, in due anni a Bari, infatti, sono aumentati gli arresti».

Una delle province maggiormente colpite dal fenomeno della criminalità nelle aree è la BAT e da qui l’appello del Presidente Giorgino a continuare a fare squadra per contrastare fenomeni che spesso sembrano incontrollati e mettono a repentaglio l’incolumità degli agricoltori.